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ReCommon: «Studio inglese getta ombre sullo stoccaggio della CO2»

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Stoccaggio della CO2? Un rapporto di esperti dell’Imperial College di Londra getta ombre molto fosche su questa tecnologia.

ReCommon: «Studio inglese getta ombre sullo stoccaggio della CO2»

Stoccaggio della C02? Un rapporto di esperti dell’Imperial College di Londra getta ombre molto fosche su questa tecnologia.

A spiegarlo è l’organizzazione ReCommon che già da tempo ha prodotto documentazione critica su questo tipo di procedura promossa negli ultimi anni insistentemente «dai giganti dell’oil&gas» spiega ReCommon, e «ormai onnipresente sulle veline di quotidiani mainstream con l’acronimo CCS. L’anidride carbonica verrebbe depositata sottoterra, per lo più in giacimenti esausti di petrolio e gas. Ma qual è il vero potenziale della tecnologia CCS?».

Dati alla mano, ReCommon e altre organizzazioni mettono in dubbio l’efficacia e la sostenibilità economica della tecnologia CCS «che ci viene presentata come “rivoluzionaria” ma che in realtà esiste da oltre 50 anni, con scarsi risultati concreti. I dubbi, tanti dubbi, sono anche sulla sicurezza di queste opere» spiega ReCommon, che in riferimento allo studio inglese pubblicato a inizio settembre sul sito della rivista Nature spiega: «lo studio evidenzia come il rischio di terremoti, problemi tecnici o dispute territoriali renda possibile immagazzinare in modo sicuro e su scala globale solo 1500 gigatonnellate di CO₂, un numero ben inferiore alle 40.000 gigatonnellate precedentemente stimate. In altre parole, il potenziale di stoccaggio del pianeta ha un limite e non corrisponde alle promesse del settore fossile e dei governi. Sì, dei governi, perché i fondi per dare vita ai progetti CCS provengono in gran parte dalle casse pubbliche. Dal 2009 gli esecutivi di tutto il mondo hanno stanziato 8,5 miliardi di dollari per il CCS. Va detto che solo il 30% di questi finanziamenti è stato speso, perché alcuni progetti non sono riusciti a partire, a dimostrazione di quanto funzionino poco».

«Se dunque non sono efficaci e soprattutto se non sono molto sicuri, non sarebbe meglio spendere i miliardi di dollari allocati per il CCS in progetti per una vera transizione energetica? – prosegue ReCommon – E non affidandosi ai principali responsabili del riscaldamento globale. Purtroppo la realtà dei fatti ci racconta altro. Il governo britannico sta destinando miliardi di sterline per Hynet, il mega-progetto di CCS di ENI nella baia di Liverpool, mentre quello italiano sostiene un’altra opera del Cane a sei zampe per la cattura e lo stoccaggio della CO₂, per il momento in fase sperimentale a Ravenna. Tutte false e costose soluzioni che, temiamo, non cureranno i mali del Pianeta». 

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