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WWF: «Xylella, il corporativismo ha distrutto gli ulivi pugliesi»

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«Alleanze strumentali tra alcune associazioni di categoria, imprenditori, decisori politici e parte del mondo accademico e della ricerca hanno contribuito a devastare il territorio degli ulivi monumentali pugliesi»: la denuncia del WWF.

WWF: «Xylella, il corporativismo ha distrutto gli ulivi pugliesi»

«Alleanze strumentali tra alcune associazioni di categoria, imprenditori, decisori politici e parte del mondo accademico e della ricerca hanno contribuito a devastare il territorio degli ulivi monumentali pugliesi»: la denuncia del WWF. 

L’analisi è contenuta nel rapporto “La fastidiosa Xylella”, analisi approfondita che fa il punto a oltre dodici anni dall’inizio dell’emergenza in Puglia. Il documento valuta le scelte compiute dall’Unione europea, dal Ministero dell’Agricoltura, dalla Regione Puglia e dalle principali associazioni agricole nel tentativo di contenere il batterio. «Dal rapporto emerge il ritratto di un’agricoltura “Made in Italy” dai due volti: da un lato, gli agricoltori custodi del paesaggio e degli agroecosistemi, protagonisti di buone pratiche e resilienza; dall’altro, un sistema corporativo segnato da alleanze strumentali tra alcune associazioni di categoria, imprenditori agricoli, decisori politici e una parte del mondo accademico e della ricerca – scrive il WWF – Tali dinamiche, unite a provvedimenti normativi e interventi sproporzionati, spesso privi di solide basi scientifiche, hanno contribuito a devastare il territorio degli ulivi monumentali, un patrimonio di inestimabile valore ambientale e paesaggistico, proprio mentre si dichiarava di volerlo proteggere». 

L’eradicazione forzata

«Il caso Xylella rappresenta oggi un esempio emblematico dei limiti della ricerca agronomica nel nostro Paese e dei pregiudizi ancora diffusi nei confronti dei principi e delle buone pratiche dell’agroecologia – prosegue il WWF – Il batterio della Xylella, arrivato in Puglia probabilmente attraverso piante di caffè importate dall’America centrale, è stato contrastato principalmente con l’abbattimento massivo degli ulivi infetti, inclusi esemplari secolari e millenari. Le norme hanno imposto l’estirpazione non solo delle piante colpite, ma anche di tutti gli ulivi entro un raggio di 100 metri, ridotto a 50 dal 2022, privilegiando così la logica dell’eradicazione forzata. Tale approccio è stato adottato nonostante dal 2015 il batterio fosse già considerato endemico e non eradicabile, trascurando strategie ecologiche mirate alla salute dell’agroecosistema e alla resilienza delle piante alla malattia. Ogni tentativo di trattare gli ulivi con metodi agroecologici è stato giudicato inefficace, e questo messaggio, partito dagli ambienti scientifici, si è rapidamente diffuso tra politici, associazioni di categoria, tecnici e agricoltori». 

Risultati disastrosi

«Il risultato è stato la distruzione e l’abbandono di centinaia di ettari di oliveti, senza reali tentativi di contenimento basati su pratiche ecologiche – prosegue ancora il WWF – Solo alcuni agricoltori coraggiosi e disobbedienti hanno scelto di sperimentare approcci agroecologici, spesso osteggiati o derisi. Grazie alla loro tenacia, oggi si osserva la ripresa vegetativa di ulivi un tempo considerati irrimediabilmente infetti, tornati a produrre un olio di alta qualità: una prova concreta dell’esistenza di alternative agroecologiche per contenere la Xylella attraverso la cura e il ripristino degli agroecosistemi. La strategia degli abbattimenti ha inoltre generato flussi finanziari stimati in oltre 600 milioni di euro, alimentando speculazioni e conflitti di interesse legati alla sostituzione degli ulivi monumentali con impianti intensivi e superintensivi di varietà di ulivi (cultivar) brevettate ritenute più resistenti alla Xylella. Questo processo ha portato anche alla demolizione della normativa di tutela del paesaggio storico degli ulivi millenari e alla perdita di un patrimonio culturale e naturale unico, frutto dell’incapacità di immaginare un modello agricolo diverso, in cui l’agricoltore sia davvero custode dell’ambiente». 

I danni dell’agricoltura intensiva

«I dati dell’ultimo rapporto dell’Agenzia europea per l’Ambiente (ottobre 2024) confermano la gravità della situazione: l’agricoltura intensiva rimane la principale causa di perdita di biodiversità in Europa e in Italia, con l’80% degli habitat protetti in cattivo stato di conservazione, il 60-70% dei suoli degradati e un uso delle risorse naturali pari a 1,5 volte la capacità del pianeta di rigenerarle – scrive ancora il WWF – Questi numeri impongono una riflessione urgente sulle pratiche agricole dominanti e sulle scelte delle filiere agroalimentari. La lezione della Xylella è chiara: quando si applicano i principi dell’agroecologia e le politiche adeguate e la ricerca scientifica indipendente li sostengono, è possibile integrare il ripristino ambientale nelle pratiche agricole. Tutto questo garantendo sicurezza alimentare, tutela della biodiversità e salvaguardia del paesaggio. È tempo di abbandonare il modello di produzione agricola intensivo, centrato sulla massimizzazione delle rese a breve termine, degradando il territorio e la sua biodiversità, per accelerare la transizione agroecologica dei nostri sistemi agroalimentari. Serve un cambio di paradigma che metta al centro gli agricoltori come veri custodi dell’ambiente, valorizzando le pratiche che rigenerano il suolo, preservano l’acqua, proteggono gli habitat naturali e mantengono viva la ricchezza genetica e culturale dei paesaggi italiani». 

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