Il rapporto Italia Oltre la Crisi di Legambiente ci presenta un paese in crisi profonda, con problemi economici, ambientali e sociali profondi. Ancora troppe auto e polveri sottili. Buone le rinnovabili, ma si brucia troppo petrolio. Solo la green economy può salvarci
Un paese in crisi profonda, segnato dalla disoccupazione, dallo strapotere delle ecomafie e dal dissesto idrogeologico. Un quadro a tinte fosche quello dipinto da Legambiente con l’ultimo Rapporto Italia Oltre la Crisi, ma che evidenzia anche alcuni dati positivi: il calo nella produzione dei rifiuti e l’avanzata delle energie rinnovabili.
Il rapporto realizzato in collaborazione con l’Istituto Ambiente Italia, presenta un’analisi degli ultimi dieci anni di “non governo” del territorio e delle politiche sociali attraverso una serie di indicatori sociali e ambientali e propone idee e proposte concrete per avviare una economia low carbon attenta alle persone e ai territori, perché uscire dalla crisi è possibile e alcuni segnali positivi di cambiamento stanno già emergendo.
“Questa crisi è figlia di politiche scellerate che hanno considerato l’ambiente come un freno per lo sviluppo economico o un lusso da rinviare a tempi migliori – ha dichiarato il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza -. Dalla crisi che sta attraversando il Paese invece si potrà uscire solo con idee differenti e con il coraggio di cambiare sul serio. Dobbiamo puntare a una alleanza tra lavoro e ambiente per cercare di rispondere adeguatamente alla drammatica situazione attuale per cui aumentano le diseguaglianze e la crisi climatica incombe. Oggi c’è una sola ricetta per uscire dalla crisi, ed è quella di una Green economy che incrocia le domande e i problemi dei territori, i ritardi del paese e le paure del futuro, le risorse e le vocazioni delle città e che vuole rimettere al centro la bellezza italiana”
L’analisi dei parametri sociali rivela che l’Italia presenta forti diseguaglianze generazionali nell’accesso al lavoro, alla casa e ai sistemi di protezione sociale. Tra il 2008 e il 2011 il tasso di occupazione dei giovani è sceso dal 24% al 19%, un valore tra i più bassi in assoluto all’interno dell’Unione europea (la media è di oltre il 33%), con quattro regioni italiane (Basilicata, Calabria, Campania e Sicilia) che si collocano tra le regioni europee a più bassa occupazione giovanile. Il fenomeno che dovrebbe destare maggiore preoccupazione è l’alto livello di giovani che non lavorano né studiano né sono attivi disoccupati (i NEETs). In Italia, il loro livello, già elevato nel 2008 (16,6%), è esploso dopo la crisi raggiungendo il 20% nel 2011. Un valore ben superiore non solo alla media UE (13%), ma anche a quello del Portogallo (12%), della Grecia (17%) o della Spagna (18%). Si è quindi bloccata la mobilità sociale dell’Italia, già non particolarmente elevata.
L’Italia, come e peggio di altri paesi mediterranei europei, mostra poi un forte gap tra uomini e donne nell’accesso al lavoro (il tasso di occupazione femminile è il 70% di quello maschile) e al reddito. Il reddito femminile è il 54% di quello maschile), sia nell’accesso alle responsabilità politiche e istituzionali e manageriali (dove le donne sono il 50% degli uomini). Particolarmente drammatica è la condizione di esclusione delle donne che si registra nelle regioni meridionali. Nel 2011, il più basso tasso di occupazione femminile in tutta l’Unione europea si registra in tre regioni italiane: Campania, Sicilia e Puglia. Puglia e Campania sono anche le regioni con il più ampio gap occupazionale tra uomini e donne.
A livello di mobilità invece, la motorizzazione privata e le percorrenze in auto in Italia sono sempre tra le più alte d’Europa. Nonostante il declino delle nuove immatricolazioni, il tasso di motorizzazione continua a crescere e rimane ai vertici dell’Unione europea e del mondo. Nel 2011 siamo ormai sopra le 60 auto ogni 100 abitanti, rispetto alle 50 della Germania e alle 47 della media dell’Unione europea.
Sul fronte energetico, nel 2012 è proseguita la discesa dei consumi energetici nazionali. La crisi economica e le condizioni meteorologiche sono importanti fattori della riduzione ma la riduzione è anche il segno dell’introduzione di misure di efficienza energetica che hanno portato i consumi a valori inferiori a quelli del 2000. Il petrolio resta ancora la principale fonte (37,5%), essenzialmente per gli usi come carburante. Il 35% dei consumi derivano dall’impiego di gas naturale mentre il 13,3% è dato dalle rinnovabili e il 9% dall’uso di carbone. Nel bilancio energetico nazionale cresce la produzione da fonti rinnovabili, quasi raddoppiata rispetto a 10 anni orsono. Nella produzione elettrica nazionale, al 2012 le fonti rinnovabili valgono per il 28% della produzione e sono ancora in rapidissima crescita la produzione eolica (+34%) e quella fotovoltaica (+72%), validissimi aiuti alla green economy.
Nel 2011 le emissioni di CO2eq sono stimate a 490 milioni di tonnellate, circa il 5% in meno del livello 1990. Nel 2011 la produzione di energia ha rappresentato il 31% del totale delle emissioni climalteranti italiane, i trasporti il 27%, l’energia per usi civili il 20%, l’energia per l’industria il 14%, l’agricoltura il 7,8%, i processi industriali il 7,5% e, infine, i rifiuti il 4,2%. L’Italia rimane il quarto paese europeo per emissioni dopo Germania, Regno Unito e Francia. Le riduzioni più consistenti si registrano per quei composti di cui è stato eliminato o fortemente ridotto l’utilizzo (come il piombo o l’anidride solforosa) o per cui sono state imposte specifiche misure di controllo e depurazione. Di gran lunga meno efficaci i risultati sulle emissioni polveri sottili – particolarmente rilevanti sotto il profilo sanitario – che si sono ridotte su scala europea del 26% (del 17% in Italia) sul periodo 1990-2010, ma sono cresciute nel 2010 rispetto al 2009 (sia nella Ue sia in Italia). La riduzione delle emissioni di metalli pesanti, in alcuni casi altamente tossici e cancerogeni, è stata rilevante su scala europea, ma molto più bassa in Italia. Anche per gli inquinanti organici persistenti, come i PCB o le diossine, le riduzioni conseguite in Italia sono state meno ampie rispetto a quelle medie europee.