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Esperienza all’ecovillaggio Ciricea

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Antonino Bottino, lettore di Terra Nuova, ci ha inviato la testimonianza di un'esperienza vissuta all'ecovillaggio Ciricea, che condividiamo con chi ci segue.

Esperienza all’ecovillaggio Ciricea

Antonino Bottino, lettore di Terra Nuova, ci ha inviato la testimonianza di un’esperienza vissuta all’ecovillaggio Ciricea, che condividiamo con chi ci segue.

«Ci sono luoghi che non si visitano: sono loro a visitare te. L’Ecovillaggio Ciricea, nascosto nel borgo antico di Tarole, sulle colline di Pistoia, è stato questo per me. Non un semplice spazio immerso nel verde, ma un incontro profondo, un abbraccio silenzioso che ti accoglie senza chiedere nulla e ti mostra un ritmo diverso della vita: più umano, più vero, più vicino a ciò che siamo realmente. Quando sono arrivato, portavo con me la confusione quotidiana, i pensieri stretti come corde, il fiato corto di chi corre senza fermarsi mai. E lì, tra le vecchie pietre del borgo e i boschi che lo circondano, qualcosa ha cominciato a cambiare. Il tempo sembrava rallentare. I rumori lontani del mondo si affievolivano, lasciando spazio a un silenzio pieno, ricco, che respirava insieme a me. Ho capito subito che Ciricea non era un luogo da visitare: era un luogo da vivere, da sentire, da assorbire. Ciricea non è solo un ecovillaggio. È una comunità laica e spirituale che vive seguendo principi antichi e profondi: autosufficienza, tutela della foresta, creatività, crescita personale olistica. Ogni gesto qui ha un peso, una bellezza e un senso. Il pane che cuoce nel forno a legna sprigiona un profumo che sa di casa e di fatica amata; i saponi artigianali portano con sé la memoria delle mani che li hanno plasmati; gli oli essenziali estratti con pazienza racchiudono l’anima delle piante; il miele delle api del borgo è dolce come la calma che finalmente si insinua dentro. E poi ci sono le castagne, le olive, i frutti della terra: cibo, cura, vita, ogni dono della natura accolto con gratitudine e rispetto. Ogni gesto quotidiano qui diventa relazione: con la terra, con il corpo, con gli altri, con il tempo stesso. Camminare tra i sentieri del borgo, partecipare alle attività quotidiane, osservare le mani degli abitanti che creano, coltivano, curano, ti fa comprendere che nulla qui è scontato. Ogni gesto porta con sé un insegnamento silenzioso: la vita non si misura in velocità, in accumulo o in risultati, ma nella qualità di ciò che offri, nella presenza che regali, nella relazione che costruisci con tutto ciò che ti circonda. E so che molte persone hanno pregiudizi su queste realtà, molti senza neanche averne mai visitata una. Capisco la diffidenza: luoghi così possono sembrare ideali, perfetti, lontani dalla vita vera. Con questo non voglio dire che in Ciricea tutto sia perfetto. Anche lì ci sono problemi, conflitti quotidiani, sfide da affrontare e limiti umani. Ma forse la differenza sta nel modo in cui si affrontano: con apertura, con ascolto, con rispetto e con la consapevolezza che ogni difficoltà è parte del cammino e della crescita. Gli eventi, i laboratori, le giornate di apertura al pubblico non sono mai apparenti o costruiti: sono momenti in cui la comunità si mostra per quello che è. Ti invita a partecipare, a entrare in contatto con te stesso, con gli altri, con la natura. Ti ricorda che la connessione autentica esiste e può essere semplice. Che condividere un pasto, raccogliere un frutto, lavorare insieme non è mai banale: è un atto di consapevolezza, di gratitudine, di bellezza. A Tarole, tra le pietre antiche del borgo e gli alberi che sembrano custodire ogni respiro, ho imparato una verità semplice e potente: la natura non è fuori da noi, ma dentro. E quando torni a percepirla, tutto cambia: la mente si quieta, il cuore si apre, e le cose semplici ritrovano un valore che pensavamo perso. Ciricea ti ricorda che la lentezza è un dono, il silenzio è un Maestro e che abitare il mondo con attenzione è il gesto più rivoluzionario che possiamo compiere. Quando me ne sono andato, non ho portato solo ricordi: ho portato con me un seme. Un seme di calma, di gratitudine, di consapevolezza. Un seme che ancora oggi cresce dentro di me e che mi ricorda ogni giorno che tornare a casa può significare anche tornare a sentire, a respirare, a vivere davvero. E forse, la cosa più bella è lasciare tutto così com’è: senza cercare di possedere, senza voler cambiare ciò che è naturale. Lasciare che il villaggio continui a vivere il suo respiro antico, che le persone continuino a camminare tra le pietre e i boschi, e che chiunque arrivi in futuro possa trovarvi lo stesso silenzio, la stessa luce, la stessa verità che un giorno ha trovato me. Lasciare tutto com’è significa accettare che la meraviglia esiste già, e che basta solo aprire gli occhi per vederla».

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