Greenpeace: «La fame si combatte cambiando paradigma produttivo»
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L’attuale sistema di produzione e consumo di cibo non sta sfamando il mondo, ci spinge sempre più oltre i limiti planetari, alimenta le disuguaglianze e vìola i diritti delle persone: a denunciarlo è Greenpeace.
L’attuale sistema di produzione e consumo di cibo non sta sfamando il mondo, ci spinge sempre più oltre i limiti planetari, alimenta le disuguaglianze e vìola i diritti delle persone: a denunciarlo è Greenpeace, che torna a chiedere una transizione verso modelli agroalimentari sostenibili, rivolgendo un appello anche ai rappresentanti della politica e delle istituzioni.
«A fare le spese del sistema in cui produciamo e consumiamo cibo sono le foreste, distrutte per fare posto al bestiame e a colture mangimistiche; specie vegetali minacciate da pesticidi e monocolture; gli animali negli allevamenti intensivi; l’acqua dolce, utilizzata per l’irrigazione e avvelenata anch’essa dalla zootecnia intensiva; gli oceani, inquinati dai fertilizzanti – spiega Greenpeace – C’è poi l’aria che respiriamo: quasi un terzo di tutti i gas serra emessi a livello globale proviene dalla sola produzione alimentare, e anche se la produzione da combustibili fossili cessasse domani, le emissioni derivanti dal settore agroalimentare ci spingerebbero oltre l’obiettivo climatico del contenimento della temperatura media globale entro 1,5°C».
«La produzione del 30% del mondo causa il 70% dei danni ambientali connessi al cibo, mentre appena l’1% della popolazione mondiale vive in uno spazio considerato “sicuro e giusto”, dove i diritti delle persone e i bisogni alimentari sono soddisfatti senza superare i limiti planetari, ossia le soglie critiche di sicurezza per la vita sulla Terra – prosegue Greenpeace – Nel mondo quasi un terzo (il 32%) delle persone che lavorano nel comparto agroalimentare percepisce meno del salario minimo. In Italia tra il 2007 e il 2022 è andato perso il 53% dei posti di lavoro nelle aziende agricole di piccola dimensione, oltre la metà delle quali è scomparsa, schiacciata da un sistema che premia le grandi aziende, spesso a scapito dell’ambiente e della qualità del cibo».
«La strada per garantire accesso al cibo sicuro è un passaggio a diete a base vegetale a partire dai Paesi più ricchi, e una transizione verso modelli agroecologici, passando per una necessaria riduzione della produzione zootecnica e da uno stop allo spreco alimentare», dichiara Simona Savini, della campagna Agricoltura di Greenpeace Italia.
Greenpeace, ISDE, Lipu, Terra! e WWF si sono fatti promotori di una proposta di legge che indica la strada per una trasformazione in chiave sostenibile del settore zootecnico, in attesa di discussione alla Camera.
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