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La contaminazione alimentare a Taranto

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Il biomonitoaggio sulle donne in età fertile dà un responso negativo, suscitando le riserve da parte di Peacelink. Ma secondo l’Asl la catena alimentare è comunque contaminata. Lo dimostrano i danni agli allevamenti…
Nel nome del produttivismo, del profitto e dell’incoscienza collettiva ci stiamo avvelenando. Lo scandalo riguarda ancora una volta l’Ilva di Taranto, a cui il governo ha di nuovo teso la mano dando fiducia al nuovo piano di risanamento.
Il 16 gennaio a Taranto sono stati presentati i risultati delle analisi riguardanti le donne, studio eseguito nell’ambito del progetto Womenbiopop finanziato dalla Comunità Europea e dall’Istituto superiore di Sanità, con il contributo del ministero dell’Ambiente.
Secondo il direttore del Dipartimento di prevenzione della Asl di Tranto, Michele Conversano, la fabbrica con le emissioni persistenti di sostanze inquinanti avrebbe causato danni anche sulla catena alimentare, anche se non hanno avuto un’incidenza particolare sulle donne in età riproduttiva.
“La presenza di elementi inquinanti a ridosso dell’area industriale” avrebbe aggiunto Conversano, secondo quanto riportato da La Stampa “contrasta con la minore presenza nelle donne per il semplice fatto che gli alimenti vengono quasi sempre acquistati dalle famiglie attraverso la grande distribuzione, e dunque raramente si tratta di produzioni locali”. A salvare le persone per una volta sarebbero stati proprio i supermercati, perché il problema della contaminazione sulla catena alimentare locale è innegabile.
Gli elementi inquinanti organici persistenti (ad esempio diossine e policlorobifenili) prodotti nell’area  ha sicuramente contaminato la catena alimentare locale, come dimostrato dall’abbattimento di migliaia di pecore di allevamenti a ridosso dell’area siderurgica.
Riserve sulla metodologia seguita per il biomonitoraggio del progetto Womenbiopop vengono espresse dal presidente dell’associazione ambientalista Peacelink, Alessandro Marescotti: «L’indagine», ha detto, «ha un limite di fondo: è stata realizzata solo su donne giovani. Poiché le diossine sono bioaccumulabili, esse crescono di circa tre volte nel corso della vita e si riscontrano in concentrazioni molto più alte in donne anziane».

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