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Movimento “No Ponte”: «Stop a un’opera inutile e impattante»

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Il Movimento “No Ponte” ribadisce un netto no alla realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina: «Opera inutile, costosa e impattante».

Movimento “No Ponte”: «Stop a un’opera inutile e impattante»

Il Movimento “No Ponte” ribadisce un netto no alla realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina: «Opera inutile, costosa e impattante».

Nelle scorse settimane migliaia di persone hanno partecipato alla manifestazione che si è tenuta a Messina. «Si è trattato del secondo o terzo corteo “no ponte” più partecipato di sempre, avvenuto a distanza di quasi 25 anni dal primo di questi, con tantissimi giovani e quindi si può dire che il movimento goda di buona salute» hanno spiegato i promotori. 

«La composizione del movimento è sempre stata, sin dal principio, molto variegata – spiegano ancora i promotori – Una componente importante e costante nel tempo è quella ambientalista ed ecologista, ma sul territorio si sono evidenziate anche parecchie esperienze civiche. Notevole è stato, ancora una volta, il contributo della militanza politica delle reti sociali che, sebbene in questa occasione si sono misurate con i palesi effetti dell’aumento della militarizzazione e del controllo del territorio, ha costituito una base di appoggio accogliente per la partecipazione anche di gruppi informali e singole soggettività. Al movimento hanno dato il proprio sostegno anche strutture sindacali e politiche. Circa ottanta le realtà collettive che hanno aderito, tra comitati, movimenti, associazioni, sindacati e partiti».

Quali sono le motivazioni per cui vi opponete al ponte sullo Stretto?

«Il ponte sarebbe un’infrastruttura dalla scarsa utilità, fortemente impattante sul territorio e capace di sperperare ingenti risorse pubbliche (si è passati dai 3,9 miliardi del contratto del 2005 ai 14 miliardi impegnati in questa nuova fase), laddove il territorio su cui ricadrebbe vive bisogni primari inevasi (vetustà della rete idrica, sistema sanitario sempre più incapace di servire la domanda, un grave dissesto idrogeologico, grandi dubbi sulla tenuta dell’edificato delle città dello Stretto nel caso di un evento sismico catastrofico, di cui, statisticamente, è plausibile preoccuparsi). In quest’ultima fase, poi, il ponte sullo Stretto è stato inserito tra le opere di rilevanza strategica, collocandolo così, di fatto, dentro un ruolo anche di carattere militare. In questo modo la lotta contro il ponte sullo Stretto e la lotta contro il Muos (sistema di telecomunicazioni della marina Usa che consente a Niscemi, in provincia di Caltanisetta, la messa in rete mondiale per la teleguida dei droni da guerra che bombardano dal Mediterraneo) si sono ancora di più legate. Ciò che nel corso degli anni è andato evidenziandosi è che il ponte sullo Stretto, così come le altre infrastrutture che corrispondono alla politica delle Grandi Opere, non è pensato per dare risposte alle esigenze o men che meno ai desideri espressi dalla popolazione, che necessitano di dialogo maieutico, attenzione e cura; al contrario, l’intero territorio è sottomesso al ricatto prodotto dagli interessi di grandi società di costruzioni e di un blocco sociale limitato numericamente ma molto influente politicamente. In questa prospettiva, le comunità locali diventano per i sostenitori del progetto un vero e proprio intralcio e sta alle comunità locali stesse, a cui noi apparteniamo, raccogliere questa sfida difendendo questa terra e la sua natura, dentro un processo di liberazione dalle oppressioni che subiamo».

Quali sono le “falle” aperte secondo voi nel progetto approvato dal Cipess?

«Le “falle” sono facilmente individuabili attraverso la lettura delle Osservazioni del Ministero dell’Ambiente e le criticità evidenziate in fase di Valutazione d’Impatto Ambientale e riguardano l’impatto sui luoghi che ospiterebbero i cantieri più imponenti, la tenuta dell’impalcato rispetto al rischio sismico (la questione della faglia attiva in corrispondenza della torre del lato calabrese è di primaria importanza), l’interferenza devastante della viabilità di cantiere con quella ordinaria (per questa ragione abbiamo parlato di città-cantiere). Dal punto di vista ingegneristico, poi, sono stati sollevati, da tecnici critici, fondati dubbi sulla tenuta dei cavi che dovrebbero sorreggere la struttura d’attraversamento. A queste vanno aggiunte le criticità di ordine giuridico. I contratti relativi al ponte, infatti, dopo essere stati “caducati” in seguito all’intervento del Governo Monti, sono stati resuscitati con una operazione normativa definita “reviviscenza”. In realtà, questa non è tale poiché il progetto dovrà comunque corrispondere alle nuove normative e ai nuovi orientamenti individuati dalla stessa Unione Europea. Si aggiunga l’anomalia per cui i competitor della gara del 2005 (un consorzio era guidato da Impregilo e uno da Astaldi) si trovano oggi in grande misura confluiti in Webuild, oggi capofila del Consorzio Eurolink, General Contractor per la progettazione e costruzione dell’infrastruttura».

Con il sì del Cipess a che punto si è nell’iter di realizzazione dell’opera?

«L’approvazione del progetto definitivo da parte del Cipess rimane elemento interlocutorio nel generale processo di realizzazione dell’opera. Attraverso esso, infatti, potranno essere avviate solo le opere cosiddette “anticipate”: bonifica dagli ordigni bellici, ricerche archeologiche, realizzazione delle piste di cantiere, espropri “bonari” (necessario il parere favorevole del proprietario del terreno o dell’abitazione, in vista del quale Ciucci ricatta con la recente promessa di una ricompensa economica). Tuttavia, questi primi interventi sul terreno e l’apparizione, come ripete spesso Salvini, dei primi operai sul territorio assume un carattere simbolico importante e riteniamo necessario contrastare questo passaggio con la giusta opposizione. Va, peraltro, sottolineato che, con l’adozione del Decreto Infrastrutture il Governo ha dato la possibilità alla governance del ponte di procedere alla realizzazione del progetto esecutivo per fasi. Sarebbe, dunque, un errore, da parte nostra, pensare che ci sarà un’ora X a partire dalla quale avverrà il vero e proprio inizio dei cantieri. Spesso abbiamo detto “Il ponte lo stanno già facendo” per sottolineare il fatto che non ci troviamo di fronte ad una infrastruttura ma ad un dispositivo politico-finanziario di oppressione».

In che modo vi opporrete da ora in avanti? Iniziative legali o mobilitazioni già in programma?

«Nel corso della sua storia il movimento “No ponte” ha adottato svariate forme di lotta: dai cortei alle azioni legali, dalla pressione sulle forze politiche e le istituzioni alle volontà condivise di approfondimento e consapevolizzazione. Si continuerà così. Non si può, però, non riconoscere che l’eventuale avvio della cantierizzazione sposterà il terreno della lotta di piazza intorno alle zone interessate dai lavori. Nei fatti abbiamo già iniziato a farlo attraverso un lavoro di sensibilizzazione con le popolazioni interessate, attraverso il quale inizia a emergere come il problema principale sia l’imbastimento dei cantieri. Il Governo si è premunito attraverso il Decreto Sicurezza che inasprisce le pene per chi si oppone alla Grandi Opere, ma siamo certi che la capacità repressiva sarà tanto meno efficace quanto più estesi saranno la dimensione della disobbedienza e gli aneliti di liberazione».

Avete un team di legali che vi sostiene nella vostra battaglia?

«Sì, certo. Ci sono parecchi legali che, generosamente, si sono messi a servizio di questa mobilitazione e del movimento di lotta per tutte le sue componenti. Il loro apporto continuerà a essere essenziale nel prosieguo».

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