Perché riscaldarsi con legna straniera?
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Come si spiega? Se è vero che nelle aree rurali e nelle pianure prevale assistiamo a una rapida e progressiva cementificazione, sulle aree montane il bosco guadagna nuove fette di territorio. Ma questi boschi non sono opportunamente curati, attraverso programmi forestali coerenti: succede così che le frane interessano quasi il 7% del territorio nazionale e ci costano quasi 2 miliardi di euro all’anno, mentre d’altro canto continuiamo a consumare sempre più legna di importazione. Succede così che in Italia ci sono circa 6 milioni di stufe e caminetti, alimentati con 3,5 milioni di tonnellate di legna da ardere di origine straniera. Secondo la Coldiretti siamo i primi importatori mondiali e nel 2013 l’import è addirittura aumentato del 15% rispetto all’anno precedente. Ma che senso ha prelevare legna oltre confine? Sul territorio nazionale sono presenti 10,4 milioni di ettari di superficie forestale, area che negli ultimi vent’anni è aumentata del 20%. Un patrimonio da coltivare meglio, visto che si utilizza meno del 15% della ricrescita annuale a fronte di un 65% della Germania. Scaldarsi con la legna oggi conviene sempre più e rimane una pratica ecologica, a patto di usare camini efficienti. Ma prima dell’acquisto bisognerebbe assicurarsi della provenienza, altrimenti mandiamo in fumo i migliori progetti su occupazione e gestione del territorio.
Dagli anni ‘50 a oggi, per effetto dello sviluppo industriale e del conseguente processo di inurbamento della popolazione, si è verificata una progressiva riduzione del presidio e della manutenzione delle opere di protezione, in modo particolare nelle zone montane e collinari.
il prelievo di legno dell’ultimo decennio ha registrato una media vicina agli 8 milioni di m3 annui (dati ISTAT), che equivale a poco meno del 25% dell’incremento annuo di biomassa prodotta, contro il 65% della media europea. Come mai tutta questa cautela nell’uso sostenibile di una materia prima rinnovabile come il legno?