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L’industria della malattia

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In Cina la popolazione si sta ammalando sempre più e proprio lì piombano come falchi le multinazionali del farmaco, pronte a dividersi un mercato immane.
In Cina la popolazione si sta ammalando sempre più e proprio lì piombano come falchi le multinazionali del farmaco, pronte a dividersi un mercato immane.
Vi proponiamo l’intervento di Alberto Forchielli, presidente dell’Osservatorio Asia, diffuso dall’agenzia Radiocor.
“Non è soltanto la forza dei numeri a condurre le industrie farmaceutiche verso la Cina. Il paese più popoloso al mondo ha altri connotati che lo rendono appetibile: la crescita economica, la crescente urbanizzazione, la vetustà della popolazione, le malattie legate all’industrializzazione. La sintesi economica è semplice nella freddezza dei numeri: il settore cresce più del Pil e dunque ne rappresenta una frazione in ascesa. In 5 anni le spese per la salute sono più che raddoppiate e sono passate dal 5 al 7% del Pil. Marcano il passaggio da una società contadina a una più matura, dove le malattie sono diagnosticate e le cure più accurate. La politica del figlio unico ha ingrigito i cittadini cinesi, che hanno bisogno di assistenza e di medicinali. Le malattie tipiche dei paesi ad alto reddito – come il diabete e il colesterolo – sono ormai ai livelli di guardia; contemporaneamente l’industrializzazione, che ha compreso la violazione dell’ambiente, ha condotto a più casi di cancro e di malattie nervose. Questo panorama ha un valore economico importante, che si presta a due valutazioni contrastanti. Da una parte ci sono i valori assoluti che ormai proiettano la Cina al secondo posto al mondo nel 2020, dopo gli Stati Uniti, per spese per la salute. Dall’altra, i consumi pro-capite permangono a livelli ancora bassi, un retaggio di un passato dove la medicina tradizionale e la struttura contadina della società imponevano rimedi non industrializzati. Entrambe queste valutazioni stimolano l’interesse delle aziende, sia multinazionali che cinesi. Tutte le più grandi ed affermate imprese del settore hanno infatti impianti di produzione e di ricerca in Cina. La concorrenza per attirare i consumi è forte e le multinazionali vantano ancora una posizione inattaccabile, basata sulla qualità e sulla reputazione che hanno costruito tra i consumatori. Il governo sta tentando di mettere ordine nella normativa e di avviare un miglioramento settoriale, considerandolo strumentale ad un progetto più ambizioso: la costruzione di un sistema sanitario gratuito alla base, efficiente, ridotto nei costi. È questa una delle sfide più rischiose per la nuova dirigenza. L’industria cinese mostra infatti una serie di ritardi e di incongruenze. La prima è una costante dell’economia cinese: l’eccessiva frammentazione dei comparti. Operano nel paese quasi 4.000 produttori. Non hanno le capacità e le risorse finanziare per sostenere i necessari costi di R&D che preludono al lancio dei prodotti sul mercato. Sono anche eccessivi i margini di rischio nell’immaginare nuovi prodotti che possano perforare il muro dei brevetti dei giganti stranieri. Spesso dunque le aziende cinesi si ritagliano alcune nicchie di sopravvivenza, oppure cercano le facili scorciatoie della violazione della proprietà intellettuale. La scarsa protezione offerta nel paese non soltanto è lamentata dalle aziende straniere, ma impedisce anche la nascita di quelle nazionali che possano essere ripagate dei loro investimenti senza dover fallire per la ridotta tutela delle loro scoperte. La scarsa trasparenza si riflette anche nei canali distributivi, spesso lasciati a lobby, corruzione, ripetitività. Basti pensare che il 75% delle medicine viene prescritto durante i ricoveri ospedalieri. Un settore strategico presenta dunque esiti promettenti e nodi inestricabili. Scioglierli sarà una delle priorità del Primo Ministro Li Keqiang, una delle tante. La novità rispetto al paese, non è tanto la gravità del problema, ma la sua urgenza, perchè la crescita incontrollata del paese rende il tempo a disposizione una risorsa non più inesauribile”.

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