Il rapporto del Wwf sulla vita sul pianeta è impietoso: in 40 anni numerose specie si sono dimezzate e sono sempre di più coloro che si chiedono se siamo già al punto di non ritorno.
L’impronta ecologica italiana
Il WWF ha presentato il rapporto internazionale “Living Planet 2014”. Nel rapporto si evidenzia come le popolazioni di numerose specie di animali vertebrati (quindi mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci) in natura si sono più che dimezzate in soli 40 anni e il WWF sottolinea come il continuo declino della natura rafforza la necessità di trovare soluzioni sostenibili per curare il pianeta.
Il rapporto Living Planet Report 2014 mostra inoltre come l’impronta ecologica – che misura il consumo di natura causato dall’umanità – continui a crescere in maniera eccessiva. Considerate entrambe, la perdita di biodiversità e una insostenibile impronta ecologica, minacciano i sistemi naturali e il benessere umano, ma possono anche indicarci la direzione per invertire la tendenza.
‘La nostra è una chiamata urgente all’azione, non possiamo più aspettare. La biodiversità è una parte cruciale del sistema che sostiene la vita sulla Terra oltre che il barometro di quello che stiamo facendo alla Terra, la nostra unica casa. Abbiamo la necessità urgente di agire in tutti i settori della società per costruire un futuro più sostenibile’ ha affermato Donatella Bianchi Presidente del WWF Italia, presentando il rapporto nel nostro Paese.
Il rapporto Living Planet Report 2014 è la decima edizione della pubblicazione edita ogni due anni dal WWF. Con il sottotitolo ‘Specie e spazi, gente e luoghi’ il rapporto monitora le popolazioni di oltre 10.000 specie di vertebrati dal 1970 al 2010 utilizzando il Living Planet Index – un database realizzato dalla Zoological Society of London. Il rapporto misura inoltre l’impronta ecologica umana predisposta dal Global Footprint Network.
Quest’anno il Living Planet Index ha aggiornato la metodologia monitorando con più cura la biodiversitàglobale fornendo così una immagine più chiara dello stato di salute della ricchezza della vita sul pianeta . Mentre i risultati mostrano come lo stato delle specie sia peggiore rispetto ai precedenti rapporti, il rapporto individua con più chiarezza le soluzioni disponibili.
Il declino della biodiversità
Secondo il rapporto le popolazioni di pesci, uccelli, mammiferi, anfibi e rettili sono diminuite del 52% dal 1970.
Le specie di acqua dolce hanno sofferto un declino del 72%, una perdita quasi doppia rispetto alle specie terrestri e marine. La maggioranza di queste perdite provengono dalle regioni tropicali in particolare dell’America Latina.
Il rapporto mostra come la minaccia maggiore alla biodiversità derivi dalla combinazione tra l’impatto della perdita di habitat e il loro degrado. Pesca e caccia (compreso il gravissimo problema del bracconaggio) sono altre minacce significative. I cambiamenti climatici stanno diventando sempre più preoccupanti e come documentato da numerose ricerche raccolte nel rapporto i cambiamenti climaticisono già responsabili della possibile estinzione di diverse specie.
Mentre la perdita di biodiversità in tutto il mondo è a livelli critici il Living Planet Report 2014 evidenzia come le aree protette gestite efficacemente siano in grado di avere un ruolo molto importante per salvaguardare la fauna selvatica.
L’impornta ecologica aumenta
Secondo il rapporto la domanda di risorse naturali dell’umanità è oltre il 50% più grande di ciò che i sistemi naturali sono in grado di rigenerare. Sarebbero necessarie una Terra e mezza per produrre le risorse necessarie per sostenere la nostra attuale Impronta ecologica. Questo superamento globale significa, in pratica , che stiamo tagliando legname più rapidamente di quanto gli alberi riescano a ricrescere, pompiamo acqua dolce più velocemente di quanto le acque sotterranee riforniscano le fonti e rilasciamo CO2 più velocemente di quanto la natura sia in grado di sequestrare.
“L’Overshoot (il “sorpasso”) ecologico è la sfida che definisce il XXI secolo” ha detto Donatella Bianchi, “Quasi tre quarti della popolazione mondiale vive in paesi in serie difficoltà, con un deficit ecologico unito a un basso reddito. La crescita di domanda di risorse naturali chiede che ci concentriamo su come migliorare il benessere umano attraverso meccanismi diversi da quelli mirati alla continua crescita”.
Separare il rapporto tra la nostra impronta ecologica e il nostro sviluppo è una priorità globale, come indicato dal rapporto. Mentre l’Impronta ecologica pro capite dei paesi ad alto reddito è in media di cinque volte superiore a quella dei paesi a basso reddito, l’analisi dimostra che è possibile aumentare il tenore di vita utilizzando meno risorse naturali.
I 10 paesi con la più alta impronta ecologica pro capite sono: Kuwait, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Danimarca, Belgio, Trinidad e Tobago, Singapore, Stati Uniti d’America, Bahrein e Svezia.
Limpronta ecologica dei paesi europei
L’indicatore dell’Impronta ecologica, mostra che tutti i 27 dell’Unione europea vivono oltre i livelli di “un pianeta” e fanno inoltre pesantemente affidamento sulle risorse naturali di altri paesi. Se tutti gli abitanti della Terra mantenessero il tenore di vita di un cittadino europeo medio l’umanità avrebbe bisogno di 2,6 pianeti per sostenersi. 2,6 pianeti è anche l’impronta ecologica dell’Italia.
Le emissioni globali di anidride carbonica (CO ₂) – la principale causa del riscaldamento globale – incidono già negativamente sulla biodiversità del pianeta e sulla sua biocapacità, inficiando il benessere umano, con particolare riguardo al cibo e all’acqua. L’impronta di carbonio dell’Europa costituisce quasi il 50% della sua impronta ecologica totale, a causa dell’uso di combustibili fossili come carbone, petrolio e gas naturale.
Tuttavia le soluzioni sono a portata di mano. Il Consiglio europeo che si terrà a Bruxelles il 23 e 24 ottobre vedrà i capi di Stato e di governo decidere sul pacchetto “clima ed energia” dell’UE fino al 2030; mentre a livello globale, la Conferenza delle Parti della Convenzione sui Cambiamenti Climatici ONU che avrà luogo a Lima nel mese di dicembre e quella già ricordata di Parigi nel 2015, costituiranno la sede per chiudere l’accordo globale per contenere gli effetti pericolosi del riscaldamento globale.