Da Seattle a Bari, passando per Buenos Aires, Johannesburg, Seul, Amsterdam, Hong Kong, Parigi, Nairobi, Tokyo solo per citarne alcune. Migliaia di persone dai cinque continenti, oltre cinquanta paesi e circa quattrocento città del mondo, sono scesi in piazza lo scorso 21 maggio per dire no a Monsanto e alla logica del profitto a tutti costi, salute compresa.
L’occasione è stata la
Marcia contro Monsanto, contro cioè la multinazionale agrofarmaceutica che produce dalle sementi Ogm brevettate – monopolizzandone il commercio mondiale e peggio, distruggendo la biodiversità del pianeta – ai pesticidi chimici, accusati fino all’altro ieri di essere probabili cancerogeni e di danneggiare il Dna nelle colture cellulari (
e che ora sta per essere acquistata da Bayer).
Solo pochi giorni prima l’OMS e la Fao avevano riabilitato il glisofato, il controverso erbicida più utilizzato al mondo, pochi mesi fa classificato come “probabile cancerogeno” dall’Iarc – agenzia per la ricerca sul cancro della stessa OMS. Neanche nella vecchia Europa sembra valere il principio di precauzione, sono in molti infatti a chiedere una sospensione precauzionale dei prodotti a base di glifosato, fino a che non si avrà la certezza che questa sostanza non sia cancerogena.
Quello dell’OMS e della FAO sembra un caso di pronunciamento ad orologeria, dato che per il 18 maggio si attendeva il rinnovo delle autorizzazioni all’utilizzo di questa sostanza da parte della Commissione europea. Si era parlato una nuova autorizzazione per sette anni anziché quindici, vista la campagna di pressione e le contrarietà delle organizzazioni ambientaliste e della società civile, preoccupate per gli effetti sulla salute umana e sull’ambiente. Ma evidentemente troppo pochi per le multinazionali del chimico. Anche perché
secondo l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) è “improbabile” che il glifosato provochi il cancro. Gli studi scientifici pubblicati sulla pericolosità del pesticida sono controversi, e a giudicare dai pronunciamenti delle varie agenzie internazionali sembra che ognuno abbia studi differenti, o peggio che valuti diversamente i rischi sulla salute umana e questo non favorisce certo la credibilità da parte dei consumatori. Proprio Monsanto aveva chiesto che venissero presi in considerazione altre ricerche, accusando lo Iarc di non averne considerato alcune importanti – a suo avviso – per la valutazione. Intanto la decisione della Commissione Europea è stata rimandata ancora una volta, troppe le divisioni interne, solo il 30 giugno- data di scadenza dell’attuale autorizzazione – sapremo se questo pesticida potrà ancora essere utilizzato in Europa oppure bandito definitivamente.
Lo stop al glifosato sarebbe una perdita troppo grande da sostenere per le multinazionali del chimico, visto che, anche se la Monsanto non detiene più il brevetto per il Round up, l’erbicida più venduto nella storia dell’agricoltura, è comunque la detentrice dei brevetti delle sementi come la soia e il mais RR (Round up Ready), cioè resistenti al glifosato. Prodotti che permettono a Monsanto di crescere, e ai suoi asset di mercato di aumentare.
E se fino ad ora, almeno in Europa, si poteva scegliere di boicottare la multinazionale – per esempio non acquistando prodotti Ogm –
con il TTIP che gli USA vogliono concludere al più presto con l’UE, sarà impossibile scegliere le alternative. O per lo meno sarà sempre più difficile se l’accordo andrà in porto. Secondo i documenti fatti trapelare a più riprese infatti, il trattato che si sta negoziando in segreto prevede, l’eliminazione delle indicazioni sull’origine dei prodotti sulle etichette, compresa quindi la dicitura Ogm, rendendo di fatto impossibile al consumatore la possibilità di scelta. Ma soprattutto l’istituzione di tribunali ad hoc, ai quali le imprese potrebbero ricorrere se dovessero ritenere che la legislazione degli stati danneggi i profitti delle imprese private. Una sorta di deterrente alla tutela della salute dei cittadini.
Anche per questo il 21 maggio 2016 la Marcia contro Monsanto si è rivelata un successo in tutto il mondo,per il terzo anno consecutivo, soprattutto nei paesi dove già gli effetti di pesticidi e Ogm sono più devastanti.
Come in Argentina, dove sono passati già 20 anni da quando il governo autorizzò con la Risoluzione 167/96 la produzione e commercializzazione della Soia RR, di proprietà Monsanto. “Da quel momento lo Stato Argentino ha consegnato la sua sovranità alimentare alle imprese impegnate nell’agrobuisness” si legge nella nota di autoconvocazione della Marcia di Buenos Aires. L’Argentina è uno dei paesi dove gli effetti Monsanto sono più evidenti, anche perché è il paese dove viene più utilizzato al mondo. I prodotti della Monsanto sono accusati di aver provocato malformazioni ai neonati, soprattutto nelle zone dove il pesticida viene irrorato nei campi con gli aerei (pueblos fumigados) anche a pochi metri dalle abitazioni. Numerosissimi sono anche i casi denunciati negli ultimi mesi di presenza di pesticidi, in particolare glifosato, nel cotone, garze e nei prodotti di igiene personale venduti nel paese.
Ma oggetto della protesta non è solo Monsanto, ci sono anche Syngenta, Dow, Dupont, Bayer, Basf, e tutto quello che queste multinazionali rappresentano. Tanto più in un momento come questo in cui i sei giganti si stanno trasformando in tre titani, visti gli acquisti e le fusioni degli ultimi mesi, titani che continuano ad accentrare e monopolizzare le sementi e i pesticidi a discapito della piccola agricoltura tradizionale, della biodiversità e della sovranità alimentare.
Ma la marcia non è l’unica iniziativa per mettere in discussione questo modello. Il prossimo ottobre Monsanto sarà infatti chiamata a rispondere delle sue azioni da un gruppo internazionale di giuristi su proposta della
Fondazione Tribunal Monsanto. Il procedimento, che si terrà all’Aja, ha l’obiettivo di “giudicare i crimini di cui è imputata la multinazionale nei settori ambientali e sanitari e contribuire al riconoscimento del crimine di ecocidio nel diritto internazionale”. Tra i sostenitori dell’iniziativa Vandana Shiva, e Marie Monique Robin, autrice di uno die più completi reportage/documentario sulla multinazionale di Saint Louis, “Il mondo secondo Monsanto”.
Anche se il procedimento non avrà valore legale, sarà un’occasione per mettere in fila le violazioni dell’azienda sull’ambiente e sulla salute delle persone, e chissà, magari aiutare a prendere coscienza della sua pericolosità a prescindere dai pronunciamenti ad orologeria. C’è da scommettere che il Tribunale metterà in evidenza anche quanto politici e organismi di controllo siano responsabili dell’impunità di questi giganti, e di come questi atteggiamenti favoriscano la crescita di un modello di agricoltura che molti definiscono genocida.