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Slow Food: «Basta indifferenza e sete di profitto: la biodiversità va difesa» 

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«L’indifferenza dei più, la miopia e la sete del profitto di una parte dell’industria sta uccidendo la biodiversità, l’unica ricchezza in grado di salvarci. Il degrado ambientale che stiamo vivendo è causa di povertà, costringe milioni di persone a migrare e concorre a innescare conflitti»: lo afferma Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia

Slow Food: «Basta indifferenza e sete di profitto: la biodiversità va difesa» 

«L’indifferenza dei più, la miopia e la sete del profitto di una parte dell’industria sta uccidendo la biodiversità, l’unica ricchezza in grado di salvarci. Il degrado ambientale che stiamo vivendo è causa di povertà, costringe milioni di persone a migrare e concorre a innescare conflitti»: lo afferma Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia

«Sebbene l’importanza della biodiversità sia evidenziata da numerosi studi, in una relazione delle Nazioni Unite del 2019 gli scienziati hanno lanciato l’allarme per l’estinzione di un milione di specie (su un totale stimato di 8 milioni), molte delle quali rischiano di scomparire nell’arco di pochi decenni – afferma Barbara Nappini – Quali sono le principali cause della perdita di biodiversità? Quasi tutte sono legate alle attività umane: inquinamento, crisi climatica, distruzione degli habitat (per esempio disboscamento e cementificazione), sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, uso scellerato della chimica di sintesi e cattiva gestione del sistema natura (introduzione di specie invasive)».
«Forse sorprenderà – prosegue Nappini – sapere che il primo imputato per la perdita di biodiversità è l’attuale sistema agroalimentare, responsabile dell’estinzione e della distruzione dell’80% di specie e habitat. Oggi il 60% dei mammiferi sono bovini da allevamento e il 70% dei volatili sono polli, mentre sul fronte vegetale il 60% del nostro fabbisogno energetico dipende da poche varietà di grano, riso, mais e patate. Questo modello produttivo ci ha resi fragili, esposti agli shock climatici e sanitari, e dipendenti da fertilizzanti chimici e pesticidi che inquinano e danneggiano gli ecosistemi».
«Per proteggere davvero la biodiversità non è sufficiente confinarla in aree protette, lontana da noi e dal nostro sistema produttivo predatorio. Serve riportare la biodiversità al centro delle nostre vite e dare dignità e sostegno a quei territori dove diversità biologica e culturale convivono da millenni. Occorre, in altre parole, promuovere quelle pratiche (anche agricole) che tutelano e valorizzano la biodiversità – aggiunge Nappini –  Ma oltre a porre un freno alle pratiche che la distruggono, è urgente occuparsi su scala globale anche dello sfruttamento commerciale delle risorse genetiche. Negli ultimi anni, le tecnologie di sequenziamento del Dna hanno permesso agli scienziati di decifrare le informazioni genetiche di moltissimi organismi: una volta individuato un gene d’interesse, è possibile digitalizzarne la sequenza (la cosiddetta Digital Sequence Information, DSI), e inserirla in microrganismi terzi». Ciò arricchisce «le aziende biotech che si trovano nei Paesi sviluppati». Questo sistema, le DSI, non consente di mantenere un pieno controllo dell’operato, sfuggendo così a un sistema regolatorio internazionale».

«Dobbiamo farci promotori di un nuovo modello di sviluppo fondato sulla durabilità, sulla relazione armoniosa tra uomo e natura. Possiamo farlo, quotidianamente, partendo da scelte consapevoli di consumo, da come scegliamo di nutrirci, visto che il cibo diventa noi. Un punto di partenza semplice in quell’ottica di cambio di paradigma che mette al centro cooperazione, condivisione e salvaguardia del bene comune. Dobbiamo sollecitare e pretendere dai decisori politici, a partire da quelli europei, un maggiore e costante impegno. Difendere la biodiversità vuol dire difendere noi stessi, i nostri figli o nipoti, le nostre comunità. Significa difendere il futuro». 

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Terra Nuova Maggio 2025

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