A Carrara distruzione e malaffare
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In questi giorni la questione è venuta alla ribalta. La Guardia di Finanza ha scoperto un traffico illecito di denaro sulle Alpi Apuane, fermando diverse persone con valige zeppe di soldi. Cose che tutti sapevano. L’oro bianco, il pregiatissimo marmo di Carrara viene acquistato al nero per finire in Cina o in India, dove la manodopera costa meno. Alla faccia di tutti i discorsi dei politici sulla lavorazione locale del marmo, sulla qualità di una filiera, sull’occupazione e le tradizioni secolari di queste valli
I comitati locali, supportati dagli ambientalisti, chiedono da tempo l’istituzione di un Osservatorio dei prezzi del marmo con un sistema di tracciabilità dei blocchi. Ma i politici si girano dall’altra parte. Gli affari degli industriali del lapideo sono sempre stati ben tutelati dai governanti locali, che fanno pagare concessioni ridicole agli impresari. A Carrara le cave appartengono di fatto al Comune, che però le amministra in modo assai poco trasparente concordando le tariffe con gli stessi imprenditori che fanno il bello e il cattivo tempo di tutto il distretto.
Forse però c’è un qualcosa di questa mentalità produttiva che ha contaminato anche le classi lavoratrici. Due giorni fa ero in visita alle cave di Colonnata e tornando verso il capoluogo mi sono imbattuto in una scritta su un muro che diceva così: Comitato=padroni. Una frase che mi ha fatto male. Paragonare gli interessi di chi difende la salute e i beni comuni con quelli di chi fa profitto senza scrupoli è davvero insopportabile. Una distorsione di questi anni, che ci fa capire quanto Carrara assomigli sempre di più a Taranto. E allora ho pensato quanto male fa questa retorica del lavoro ad ogni costo, questi epiteti di anarchismo di inizio novecento di cui Carrara ha ormai conservato solo il ricordo e un po’ di folklore. Cosa fanno gli anarchici oggi? Quale battaglia sostengono? Da che parte stanno? Possiamo ancora credere che basta un lavoro per essere felici? Un lavoro qualunque? E a quale costo?