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Lazio: 67 Comuni senza acqua potabile

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Da oggi, 1 gennaio 2013, il Lazio, in particolare la Tuscia, si trova ad affrontare una gravissima emergenza: quella idrica. Scattano infatti le ordinanze di non potabilità dell'acqua in 67 comuni per l'inquinamento da arsenico.
Da oggi, 1 gennaio 2013, il Lazio, in particolare la Tuscia, si trova ad affrontare una gravissima emergenza: quella idrica. Scattano infatti le ordinanze di non potabilità dell’acqua in 67 comuni, 35 dei quali in provincia di Viterbo, 23 in quella di Roma e 9 a Latina. Resteranno così senza acqua potabile circa 650mila persone, 150mila delle quali nella Tuscia, praticamente il 50% della popolazione della provincia di Viterbo. I residenti non solo non potranno bere l’acqua dei rubinetti, ma non potranno usarla nemmeno per cucinare, per lavarsi i denti e per fare il bucato. Ci sono poi altri 20 paesi laziali, per 150mila abitanti, che rimarranno a secco a causa della presenza di fluoruri superiore a 1,5 microgrammi/litro. I centri che, per un motivo o per l’altro, non potranno utilizzare l’acqua sono quindi 87, per una popolazione complessiva di 800mila abitanti. Sebbene in proporzioni minori, il problema arsenico si registra anche in Lombardia (6 comuni, 24mila abitanti), Toscana (13 comuni, 71mila abitanti) e in Trentino Aldo Adige (3 comuni, 27mila abitanti).  I provvedimenti vanno emessi in tutti i centri in cui la concentrazione d’arsenico è superiore ai 10 microgrami/litro. L’Unione Europea, dal 2001 in poi, ha concesso all’Italia una serie di proroghe per far scendere al di sotto dei 10 microgrammi/litro l’arsenico nei propri acquedotti. Un periodo lunghissimo che nel Lazio e in poche altre zone d’Italia, come ha sottolineato il presidente di Legambiente Lorenzo Parlati, è trascorso “nella totale indecente inerzia della Regione”. Contro ‘l’ignavia della Regione si scagliano anche i sindaci ‘costretti’ a emettere le ordinanze. La patata bollente, passa tutta in mano ai sindaci, i quali dovrebbero provvedere a garantire almeno 6 litri di acqua potabile al giorno ai loro cittadini, come ‘consiglia’ l’Istituto superiore di sanità. Ma moltissimi di loro hanno già comunicato alle prefetture e alle Asl di non avere nè i fondi nè i mezzi tecnici per adempiere all’obbligo. In siffatta situazione, come segnalano i Medici per l’ambiente, è probabile che le fasce più deboli della popolazione decidano di violare il divieto, con gravi rischi per la salute.  Dal quadro desolante emerge anche qualche realtà virtuosa, come ad esempio il comune di Tarquinia, che ha stanziato 450mila euro dal proprio bilancio per allestire un dearsenificatore. Ma l’impianto non potrà entrare in funzione prima della fine di febbraio. La stessa Regione Lazio ha recentemente stanziato milioni per la Tuscia ma, anche in questo caso, come ha ammesso l’assessore agli Enti locali Giuseppe Cangemi, i lavori non potranno essere completati che nell’estate prossima.  Mentre scattano le ordinanze sull’emergenza arsenico, il Codacons ha diffidato i sindaci dei comuni interessati “a bonificare le falde acquifere” e ha suggerito a tutti i residenti “di chiedere con raccomandata l’esatto valore quantitativo di arsenico presente nell’acqua erogata nella propria zona, utilizzando il modulo che è possibile scaricare dal sito www.codacons.it”. Inoltre tutti i titolari di utenze idriche “potranno agire con il Codacons al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti e la riduzione della tariffa dell’acqua”. Per partecipare alla class action è sufficiente seguire le istruzioni riportate sul sito dell’associazione.
Fonte: Ansa

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