Isde e Aiab: «Stop al glifosato, è tossico»
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Isde e Aiab, alla luce degli ultimi studi, chiedono a gran voce lo stop all’utilizzo dell’erbicida glifosato, di cui uno studio dell’Istituto Ramazzini ha dimostrato la cancerogenicità.
Isde e Aiab, alla luce degli ultimi studi, chiedono a gran voce lo stop all’utilizzo dell’erbicida glifosato, di cui uno studio dell’Istituto Ramazzini ha dimostrato la cancerogenicità.
«Il glifosato continua a insinuarsi nella nostra catena alimentare, nell’acqua che beviamo e nell’aria che respiriamo, eppure i dati più recenti, provenienti da studi sperimentali e ricerche epidemiologiche, confermano i rischi per la salute legati all’esposizione – scrive Isde, Associazione Medici per l’Ambiente – Oggi, grazie allo studio dell’Istituto Ramazzini, pubblicato sulla rivista Environmental Health, disponiamo di una delle evidenze sperimentali più solide mai raccolte. L’esposizione cronica al glifosato, iniziata in utero e protratta per due anni in ratti di laboratorio, ha provocato un aumento significativo e dose-dipendente di tumori multipli: leucemie precoci, tumori del sistema nervoso, della pelle, del fegato, delle ossa e della tiroide. Gli effetti si sono manifestati anche a dosi corrispondenti all’attuale soglia ritenuta “sicura” dall’Unione Europea (0,5 mg/kg/die). In particolare, nel caso delle leucemie, il 40% degli animali esposti è morto nel primo anno di vita, mentre nel gruppo di controllo non è stato osservato alcun caso».
«Ma i rischi non si fermano qui – prosegue Isde – Studi recenti suggeriscono che il glifosato possa contribuire anche allo sviluppo di malattie neurologiche complesse, come l’autismo e il morbo di Parkinson, agendo come co-fattore ambientale in soggetti geneticamente predisposti, danneggiando il sistema nervoso fin dalle prime fasi della vita. Inoltre, il glifosato altera profondamente il microbiota intestinale, influenzando l’equilibrio tra cervello e intestino e contribuendo a stati infiammatori cronici e stress ossidativo. La questione, oggi, non è più se il glifosato sia pericoloso. La vera domanda è: perché continuiamo a tollerarne l’utilizzo pur conoscendone la tossicità documentata?».
«Un divieto immediato dell’utilizzo del glifosato e di tutti gli erbicidi che lo contengono» è la richiesta di Aiab (Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica) al Governo. «La richiesta fatta già molti anni fa da AIAB, promotrice della coalizione Stop Glifosato, si basava sulle numerose evidenze scientifiche e pubblicazioni che portarono anche l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) a stabilire, già nel 2015, la “probabile” cancerogenità per l’uomo del glifosato. Ma, al momento dell’ennesimo rinnovo per la commercializzazione del pesticida, in uso sin dagli anni 70 e con brevetto scaduto nel 2001, il principio di precauzione non fu applicato. Furono molte, infatti, le pressioni di Monsanto prima e di Bayer poi sull’Efsa che basò la sua decisione a “tutela della salute dei cittadini europei” su alcuni dossier di dubbio valore scientifico, prodotti dagli stessi interessati e giudicati da funzionari già dipendenti della multinazionale».
«Il Roundup (formulato commerciale del glifosato in Europa) è l’erbicida più utilizzato ed è ammesso in tutti i disciplinari regionali di agricoltura integrata, quella che molti millantano come “sostenibile” e che, tramite i Csr è premiata dall’UE, spesso quanto il biologico, come misura agroambientale – prosegue Aiab – Non a caso il glifosato e il suo metabolita ampa continuano a essere i principi attivi che l’Istituto per la Protezione e la ricerca Ambientale (Ispra) governato dal Ministero dell’Ambiente continua a rilevare, dal 2007, come i più presenti nelle acque superficiali e profonde».
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LETTURE UTILI
La nostra vita è indissolubilmente legata all’ambiente in cui viviamo, mediante il cibo, la salute, la qualità dell’aria, il rispetto dei terreni e dei territori, il lavoro, le infrastrutture.
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Raccontare la storia di Fiorella Belpoggi significa ripercorrere la specificità di una ricerca indipendente, unica in Italia perché finanziata non dall’industria o da qualche università, ma da oltre 30.000 soci, tra semplici cittadini, associazioni ed enti vari. Sono questi, infatti, i finanziatori dell’Istituto Ramazzini di Bologna, di cui la Belpoggi è stata direttrice. Un ente di ricerca autonomo, libero da qualsiasi pressione, nato per evidenziare le strette connessioni tra ambiente e salute e disvelare i guai provocati da un’idea malsana di progresso, con tutte le sue conseguenze. Un percorso, quello della Belpoggi, faticoso, accidentato, per molti versi complicato, ma anche ricco di scoperte esaltanti, incontri stupefacenti e riconoscimenti internazionali.
Il libro, scritto a quattro mani da Fiorella Belpoggi e dalla giornalista Licia Granello, è la storia dell’utopia realizzata di una ricerca scientifica dal basso, orientata al bene comune e non agli interessi di parte, i cui studi, condotti nel corso di oltre 40 anni su oltre 200 agenti chimici, hanno costituito la base scientifica normativa a livello nazionale e internazionale.