La Cassazione dice sì alle cause climatiche
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Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione «hanno dato ragione a Greenpeace Italia, ReCommon e 12 cittadine e cittadini che nei mesi scorsi avevano fatto ricorso alla Suprema Corte, chiedendo se in Italia fosse possibile o meno avere giustizia climatica»: lo fanno sapere le associazioni interessate.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione «hanno dato ragione a Greenpeace Italia, ReCommon e 12 cittadine e cittadini che nei mesi scorsi avevano fatto ricorso alla Suprema Corte, chiedendo se in Italia fosse possibile o meno avere giustizia climatica»: lo fanno sapere le associazioni interessate.
«Questa sentenza storica dice chiaramente che anche in Italia si può avere giustizia climatica», commentano Greenpeace Italia e ReCommon. «Nessuno, nemmeno un colosso come ENI, può più sottrarsi alle proprie responsabilità. I giudici potranno finalmente esaminare il merito della nostra causa: chi inquina e contribuisce alla crisi climatica deve rispondere delle proprie azioni».
Il verdetto «avrà infatti impatto su tutte le cause climatiche in corso o future in Italia, rafforzando la protezione dei diritti umani legati alla crisi climatica, già riconosciuti dalla Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU). Non solo potrà essere decisa nel merito la causa contro ENI, Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. (CDP) e Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), avviata da Greenpeace Italia, ReCommon e 12 cittadine e cittadini davanti al Tribunale di Roma perché sia imposto alla società di rispettare l’Accordo di Parigi, ma la decisione indica la strada per tutte le future azioni giudiziarie nel nostro Paese. Questa pronuncia si inserisce nel quadro delle più importanti decisioni giudiziarie europee ed internazionali di climate change litigation» spiegano le associazioni.
Nel maggio 2023, Greenpeace Italia, ReCommon e i 12 cittadine e cittadini italiani avevano presentato una causa civile nei confronti di ENI, di CDP e del MEF – questi ultimi due enti in qualità di azionisti – per i danni subiti e futuri, in sede patrimoniale e non, «derivanti dai cambiamenti climatici a cui il colosso italiano del gas e del petrolio ha significativamente contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, pur essendone pienamente consapevole».
«ENI, CDP e MEF avevano eccepito “il difetto assoluto di giurisdizione del giudice ordinario adito”, ritenendo che nel nostro Paese una causa climatica non fosse procedibile. Greenpeace Italia, ReCommon e le cittadine e cittadini che hanno promosso la “Giusta Causa” hanno dunque fatto ricorso per regolamento di giurisdizione alla Suprema Corte, a cui hanno chiesto un pronunciamento in via definitiva».
«Il responso della Suprema Corte sancisce senza ombra di dubbio che i giudici italiani si possono pronunciare sui danni derivanti dal cambiamento climatico sulla scorta tanto della normativa nazionale, quanto delle normative sovranazionali e che, dunque, le cause climatiche nel nostro Paese sono lecite e ammissibili anche in termini di condanna delle aziende fossili a limitare i volumi delle emissioni climalteranti in atmosfera – aggiungono le associazioni – La Cassazione ribadisce anche che un contenzioso climatico come quello intentato da Greenpeace Italia e ReCommon non è affatto un’invasione nelle competenze politiche del legislatore o delle aziende, quali Eni». «Inoltre le Sezioni Unite chiariscono che i giudici italiani sono competenti anche in relazione alle emissioni climalteranti emesse dalle società di ENI presenti in Stati esteri, sia perché i danni sono stati provocati in Italia, sia perché le decisioni strategiche sono state assunte dalla società capogruppo che ha sede in Italia».
«A questo punto il giudice a cui è stato assegnato il contenzioso climatico lanciato nel 2023 da Greenpeace Italia, ReCommon e 12 cittadine e cittadini italiani dovrà entrare nel merito dei danni che ENI ha contribuito ad arrecare agli attori ricorrenti, ma non c’è più alcun dubbio sul diritto ad agire per la tutela dei loro diritti di fronte a un giudice italiano quando gli effetti del cambiamento climatico si verifichino in Italia e quando le decisioni che hanno contribuito al cambiamento climatico siano state prese in Italia» concludono le associazioni.
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