ReCommon: «Fermare i flussi di energia può aiutare a fermare il genocidio»
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L’organizzazione ReCommon segnala un set di “strumenti pratici per disturbare le multinazionali dell’energia per la liberazione della Palestina”, realizzato da varie organizzazioni internazionali e ora disponibile anche in italiano.
L’organizzazione ReCommon segnala un set di “strumenti pratici per disturbare le multinazionali dell’energia per la liberazione della Palestina”, realizzato da varie organizzazioni internazionali e ora disponibile anche in italiano.
«Sono passati 18 mesi dal 7 ottobre e, senza calcolare le migliaia di vittime che ci sono state prima di questa tragica data, dall’inizio dell’aggressione in corso l’esercito israeliano ha ucciso oltre 60.000 palestinesi, distruggendo l’80% del territorio di Gaza. Un genocidio e un ecocidio» spiegano da ReCommon.
«Se la Palestina fosse una scena del crimine, avrebbe le impronte digitali di tutti noi» scrive Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati.
«Le catene di approvvigionamento di combustibili fossili alimentano e finanziano il genocidio in corso in Palestina» si legge nel sommario del toolkit che spiega come agire per disturbare gli affari di Big Oil.
«Le risorse naturali palestinesi e l’accesso al carburante sono controllati esclusivamente da Israele, denuncia ancora il rapporto – come spiega ReCommon – L’occupazione israeliana priva i palestinesi del diritto di accedere alle loro risorse di gas sottomarine, attuando una pesante militarizzazione illegale della costa. Ciò significa che l’elettricità per il funzionamento degli ospedali e delle famiglie è controllata da Israele, che la interrompe a piacimento, usando questo potere come arma di guerra, esattamente come accade per gli aiuti umanitari. Gli accordi che hanno normalizzato il controllo del gas palestinese da parte di Israele non fanno altro che alimentare l’economia di guerra».
«Nell’ottobre 2023, Israele ha assegnato 12 nuove licenze di esplorazione, 6 a un consorzio di tre compagnie energetiche: BP, SOCAR e NewMed, e 6 a un consorzio di altre tre compagnie energetiche, che comprendono la “nostra” ENI, Dana Petroleum e Ratio Petroleum. In totale, gli offerenti hanno pagato più di 15 milioni di dollari per le licenze di esplorazione di petrolio e gas. Il 62% dell’area totale coperta dalle sei licenze di ENI e Dana Petroleum si trova all’interno della Zona economica esclusiva della Palestina, secondo quanto stabilito dal diritto internazionale – prosegue ReCommon – Le principali organizzazioni per i diritti umani ritengono che queste licenze costituiscano una chiara violazione del diritto internazionale, e per questa ragione hanno intrapreso una serie di azioni legali contro il provvedimento di assegnazione. È indispensabile continuare a denunciare quanto sta accadendo, anche “dietro le quinte” del genocidio al quale gli Stati europei, a cominciare dall’Italia, il cui governo è azionista di maggioranza di ENI, non sembrano voler contribuire a porre fine. Le pratiche descritte, nondimeno, non sono confinate alla Palestina, ma fanno parte di un modello globale di sfruttamento energetico e coloniale che vede le stesse aziende operare con identiche logiche in altre aree del mondo».
QUI puoi scaricare il toolkit in italiano
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